TECNOLOGIA

Metodi di fusione

La fusione nucleare si ottiene fornendo alle particelle atomiche energia sufficiente per superare le forze di repulsione elettrica. Sono richiesti livelli di energia di 10 -100 KeV, dove 1 eV corrisponde ad una temperatura di 11600 °K (11326,85 °C). Potrebbero essere raggiunti colpendo singole particelle con laser ad alta energia o riscaldando con microonde una nube di gas intrappolata dal campo magnetico. Il primo metodo, noto come fusione inerziale, produrrebbe sistemi pulsati rapidi fatti di molte linee parallele. Il secondo metodo, noto come fusione magnetica, è più voluminoso e continuo, quindi sembra più adatto alla produzione di energia a livello industriale.

Le linee del campo magnetico deviano e e trattengono le particelle cariche di gas caldi ionizzati, noti come plasma

La fusione magnetica è stata studiata nel mondo dal 1950, all’interno di solenoidi costituiti da conduttori di rame o facendo scorrere le correnti direttamente all’interno del gas come scariche elettriche. Le alte temperature e le reazioni nucleari con la produzione di neutroni sono state raggiunte solo per qualche micro-secondo perché le particelle si disperdono alle estremità.

Deriva delle particelle dal plasma confinato da linee di campo toroidali.

I solenoidi circolari, a forma di ciambella (termine geometrico: toro), hanno eliminato il problema delle estremità libere ma non funzionavano perché le particelle andavano alla deriva contro le pareti in alto e in basso. Poi Russi hanno introdotto una corrente circolare nel gas. Con ciò le linee magnetiche circolari diventano elicoidali annullando la deriva verticale delle particelle: così è stato inventato il Tokamak. Dal 1970 la maggior parte della ricerca sulla fusione nel mondo si basa sullo schema magnetico Tokamak.

Il Tokamak comprende una componente toroidale prodotta da bobine esterne e una componente poloidale prodotta dalla corrente indotta nel plasma: il risultato è un campo magnetico elicoidale.

Dopo il successo iniziale e la diffusione, il Tokamak migliorò lentamente fino al 1980, quando alcuni grandi impianti nucleari furono costruiti dopo la prima crisi energetica mondiale del 1973: il Tokamak Fusion Test Reactor (TFTR) a Princeton NJ-USA e il Joint European Torus (JET) a Cuhlam UK-EU. Entrambi gli impianti hanno un volume di qualche migliaio di metri cubi, sono alimentati da centinaia di MW e impostati per un ampio funzionamento D-T. In realtà poche scariche simboliche sono state fatte con D-T. Difficoltà sempre maggiori hanno portato a riunire gli sforzi in tutto il mondo nel 1991 cercando di raggiungere la fusione con un nuovo Tokamak ancora più grande e potente: ITER la cui costruzione è iniziata nel 2006.

ITER (acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor, in italiano Reattore Sperimentale Internazionale Termonucleare) mira a studiare il plasma termonucleare in condizioni di combustione, ma non è un reattore perché ha bisogno di Trizio dall’esterno. Questo è il motivo per cui dopo ITER è previsto un ulteriore prototipo DEMO, che dovrà essere in grado di generare il Trizio attraverso i neutroni prodotti e produrre energia elettrica in maniera autonoma.


Perchè il Polomac

Il duro lavoro svolto per migliorare il Tokamak dal 1970 ha portato a scarsi risultati perché il plasma è disturbato dalla grande corrente toroidale, che produce forze reciproche con le altre bobine e innesca instabilità. Infatti, negli Stellarator avanzati che utilizzano campi magnetici prodotti solo da bobine e senza corrente nel plasma, il confinamento è migliore. Il problemi dello Stellarator sono: la progettazione e la costruzione delle bobine tridimensionali e la grande vicinanza di queste al plasma, che rende difficile la realizzazione del mantello nucleare.

Il Polomac, come lo Stellarator, non ha bisogno di alcuna corrente nel plasma. Le derive delle particelle dovute alla curvatura delle linee del campo magnetico poloidale sono accettate perché sono dirette verso l’interno del plasma e si compensano a vicenda, senza produrre alcuna separazione delle cariche elettriche.

Deriva opposta su traiettorie circolari chiuse delle particelle all’interno del plasma confinato da linee di campo magnetico poloidale

Il campo magnetico stazionario è prodotto da bobine esterne, che sono piatte e facili da costruire. Il Polomac si differenzia dai precedenti test magnetici poloidali chiusi (cioè Levitron, Stator, Spherator, JFT-1, Intrap, LDX) nei tunnel magnetici, una nuova caratteristica che potrebbe finalmente portarci all’energia da fusione nucleare.


Efficienza di confinamento

L’efficienza di confinamento è il rapporto tra la densità di energia del plasma rispetto alla densità di energia del sistema di confinamento. Un plasma alla temperatura di 10 keV e densità 10^20 particelle per metro cubo raggiunge 0,16 MJ per metro cubo, cioè 0,16 MPa. Ricorda che la densità di energia corrisponde ad una pressione. La densità di energia corrispondente al campo toroidale di ITER 5,3 T è di 11,17 MPa. L’efficienza energetica del Tokamak è quindi di 0,16 MPa su 11,17 MPa pari all’1,4%. Questo parametro è normalmente noto come Beta.

Invece, il Polomac dovrebbe replicare l’efficienza dello “theta pinch” e operare con Beta intorno a 0,7-0,8. Già con Beta 0,5 e un campo magnetico di 3 T potrebbe intrappolare il plasma a 100 keV.


Reazione Deuterio – Deuterio

Pur operando ad alto Beta con un aumento del 10 del tempo di confinamento rispetto ai valori attuali dei Tokamak, cioè da 5 a 50s, il Polomac può produrre energia dalla reazione D-D, senza fornitura di Trizio esterno.

Secondo il criterio di Lawson sulla reazione nucleare del plasma, il triplo prodotto di densità, temperatura e tempo di confinamento dell’energia per la reazione D-D deve essere quasi 200 volte più grande per la reazione D-T, che è l’attuale riferimento in ITER e in DEMO. L’aumento della temperatura da 10 a 100 KeV e del tempo di confinamento da 5 a 50 s insieme a un leggero aumento di densità può soddisfare il criterio di Lawson nel Polomac.

Poiché la reazione D-D è circa 100 volte meno densa di quella di D-T, la dimensione del reattore corrispondente potrebbe essere maggiore, anche se un migliore confinamento e parametri operativi più elevati previsti nel Polomac dovrebbero consentire una densità di potenza di 1-3 MW/m3, come ipotizzato attualmente negli studi del reattore tokamak. Sicuramente un reattore D-D è più semplice, perché non ha bisogno di mantello fertile per produrre il trizio T.

La costruzione di un grande Polomac non è impegnativa come un Tokamak, perché richiede solo bobine piatte che lavorano a 3T. Il superconduttore è Nb-Ti invece di Nb-Sn, quindi la fabbricazione della bobina è meno impegnativa.