La storia

Filippo Elio ha iniziato la sua carriera nella ricerca sulla fusione nucleare nel 1984 per la progettazione e la costruzione di un grande apparato RFP presso l’Istituto Gas Ionizzati, dipartimento del CNR di Padova.
Nel 1994 è stato selezionato dall’EURATOM per la parte europea del gruppo di progetto ITER e ha contribuito al mantello, alla prima parete e alla camera di scarica, compresa la costruzione e il collaudo di prototipi pre-serie. Trovandosi nella sede di Garching presso il “Max Planck Institute fuer Plasmaphysic” entra in contatto con il gruppo tedesco che ha costruito il nuovo Stellarator super conduttore W7X, così tra il 2003 e il 2005 collabora alla riprogettazione di alcune parti critiche della struttura di supporto del magnete. Lo Stellarator è sviluppato in Europa come soluzione di backup per il Tokamak, mentre il RFP ha perso di importanza come reattore a degli scarsi risultati sperimentali.

In questo modo Filippo ha fatto esperienza nelle tre principali linee di ricerca sulla fusione: Tokamak, Stellarator e RFP. Queste linee sono state perseguite da ricercatori di tutto il mondo al fine di ottenere la fusione mediante confinamento magnetico dell’idrogeno e il suo lavoro è stato apprezzato da molti contributori chiave nella ricerca.

Di fronte alla prospettiva di non vedere alcuno sviluppo a breve termine nella fusione nucleare, Filippo ha iniziato a rivedere ancora una volta la fisica del plasma e controllare gli esperimenti passati condotti in tutto il mondo nei laboratori di ricerca. Nasce così nel 2010 l’idea di Polomac: un modello di ciò che accade nella ionosfera terrestre, in continuità con i lavori sperimentali e teorici eseguiti dal 1960 al 1990 in molti laboratori di ricerca.

Data la notevole semplicità e fattibilità del Polomac rispetto al Tokamak e allo Stellarator, e di fronte all’urgenza di nuove energie pulite, Filippo decise di lasciare la Commissione Europea e di costruire il Polomac con finanziamenti privati.


L’idea

L’obiettivo è lo sfruttamento industriale a breve termine della fusione nucleare dell’idrogeno in elio per la produzione di energia termica ed elettrica, attraverso il confinamento magnetico con lo schema Polomac, che è diverso dal Tokamak e dallo Stellarator.
Il Polomac, rispetto al Tokamak, funziona in modo stazionario ed è più semplice da costruire dello Stellarator. Si fa riferimento a questi due schemi famosi e consolidati perché Polomac si basa sulla stessa fisica e sulle esperienze accumulate in decenni di ricerca in tutto il mondo.

Il Polomac non è un’idea improvvisata, riprende lo schema del campo magnetico poloidale studiato e sperimentato in tutto il mondo negli anni 1960-70, poi abbandonato a favore del Tokamak, ma riproposto nel 2005 dal MIT di Boston con un incredibile magnete superconduttore sospeso per levitazione magnetica nella camera da vuoto. Questa recente e innovativa applicazione ha evidenziato l’altissima efficienza dello schema magnetico poloidale, anche se la levitazione magnetica introduce una complessità che ha scoraggiato ulteriori sviluppi verso l’applicazione industriale.

Sezione trasversale del LDX del MIT di Boston – USA

Polomac, invece, punta all’applicazione industriale attraverso soluzioni semplici come i tunnel attraverso il campo magnetico. Essi permettono il passaggio dei supporti e dei collegamenti elettrici e idraulici per il conduttore tenuto all’interno del plasma. Pertanto, il Polomac è assemblato con magneti piatti convenzionali e funziona con un campo magnetico 4-5 volte meno intenso di quello necessario per il Tokamak.

Mezza vista di elevazione di un Polomac con linee di campo magnetico;
l’allungamento verticale produce una porzione dritta dove il campo magnetico è uniforme e vengono realizzati i tunnel per sostenere e alimentare i conduttori avvolti dal plasma.

Maggiori informazioni sulla fisica di base del Polomac sono incluse nella sezione TECNOLOGIA. Il funzionamento continuo e la semplicità costruttiva rendono il Polomac adatto ad applicazioni industriali.


I tunnel

magnetici

I tunnel magnetici attraverso la parte diritta esterna del Polomac raggiungono il dipolo all’interno della camera di scarica per sostenere, alimentare e raffreddare le bobine.

Sezione verticale di un Polomac: la metà a sinistra dell’asse è la geometria di base, la metà a destra è il piano intermedio di un tunnel magnetico.
Horizontal midplane of the above Polomac with 4 tunnels reaching the dipole;
the 4 side coils include a portion of dipole coil, a portion of outer coil and 2 radial branches.
Sezione orizzontale in mezzeria del Polomac, si notano: 4 gallerie che raggiungono il dipolo, 4 bobine quadrilatere composte da una porzione di bobina di dipolo, una porzione di bobina esterna e 2 rami radiali.
Deviazione delle linee magnetiche verdi
per ottenere un tunnel blu;
La direzione Z è verticale, X è toroidale
Modello 2D per l’analisi magnetica del tunnel;
le aree con densità di corrente sono
sezioni trasversali dei rami della bobina

Il nome

Deutelio deriva dal termine italiano “DEUTerio” e “ELIO”. Deuterio è l’isotopo dell’idrogeno con massa atomica 2 ed Elio è il gas inerte prodotto dalla reazione.

Intensità media di reazione nucleare in funzione della temperatura per diverse coppie di ioni

La reazione Deuterio-Deuterio evolve in due modi con uguali probabilità fino alla produzione di He4 (isotopo naturale comune) con H e neutroni come ceneri.

D2+D2=He3+n1+ 3.27 MeV   quindi    He3+D2=He4+H1+18.3 MeV
D2+D2=T3+H1+4.03 MeV     quindi   T3+D2=He4+n1+17.6 MeV

Si usa la reazione D-D perché il Deuterio è disponibile in natura, mentre il Trizio deve essere prodotto. La reazione D-D a 100 KeV è intensa come la reazione D-T a 10 KeV. Temperature 10 volte più alte di quelle del Tokamak potranno essere raggiunte nel Polomac grazie alla maggiore capacità di confinamento.